Se la mattina di Pasqua vi svegliate e trovate in tavola per colazione del salame lardellato o del ciauscolo, della coratella di agnello, della pizza o crescia di formaggio, insieme a uova sode e frittata di mentuccia, dove siete? Non state per fare un bruch anglosassone né la tipica colazione teutonica. State festeggiando la Pasqua nelle Marche!
Una colazione decisamente energetica, con sapori e odori che hanno origine da una tradizione contadina così radicata che ancora resiste dopo tanti anni. Certo per poter gustare quei sapori antichi, un po’ rustici, dobbiamo affidarci alle nonne o a chi, per passione, ha voluto riprendere vecchie ricette e riportarle nella sua cucina.
Cominciamo allora dal re della colazione di Pasqua: il salame lardellato. Per saperne di più sono andata da un esperto Francesco Fucili della Fattoria Fucili di San Severino Marche (Mc).
E’ il salame più nobile della norceria marchigiana, il primo salume dell’ anno consumato dopo 4 mesi dalla macellazione dell’animale che avveniva in inverno.
Da cosa è fatto? Ovviamente dalle parti migliori del maiale: la spalla, la pancetta e la rifilatura del prosciutto. Tradizione vuole che poi venga macinato ben 7 volte per ottenere quella grana così fine che ben contrasta con i cubetti di lardello, il lardo della schiena (il migliore), e tagliati rigorosamente a mano. Unici altri ingredienti: il sale, il pepe macinato, il pepe in grani e tanta passione per un prodotto la cui qualità (e bontà) dipendono dall’animale, cresciuto con i cereali che coltivano in azienda e che macinano nel loro mulino. Il tutto poi insaccato nel “budello gentile” il più adatto alla stagionatura di questo salume.
In alcune zone però è più comune accompagnare la colazione di Pasqua con un salame morbido da spalmare (non chiamatelo ciauscolo!), prodotto con le parti più grasse del maiale, stagionato al massimo 2-3 mesi. Tradizionalmente questo salume veniva utilizzato dai contadini, che avevano bisogno di portare con sé una merenda energetica per alleviare il duro lavoro nei campi. La ricetta prevede oltre che il sale e il pepe macinato anche l’aglio fresco pestato nel mortaio e messo in ammollo con il vino bianco. Tutto macinato fine per ottenere un salume spalmabile.
Accanto ad un re c’è sempre una consorte e in questo caso direi che è la coratella di agnello. Il consumo di agnello a Pasqua è una tradizione che sappiamo risale a tempi antichissimi ed è rimasta inalterata anche se ha poi assunto le vesti proprie di ogni territorio. Per scoprire tradizione e ricetta di questo piatto sono andata ad Urbania (PU) da Isabella Silvestrini, dell’ Agriturismo Bio Pieve del Colle. Isabella mi racconta che
ad Urbania c’era un mattatoio in cui si macellava l’agnello alla vigilia della Pasqua. Per non buttare via nulla dell’animale le interiora, che si sarebbero guastate velocemente, venivano subito bollite e poi cotte sulla padella
Un piatto energetico, adatto a recuperare i diversi giorni di digiuno della quaresima, ma soprattutto semplice che esalta il gusto degli ingredienti: polmone, fegato, cuore, budelline ed esofago. Ovviamente di animali che lei stessa alleva. Il tutto sbollentato con aglietto fresco, anzi freschissimo, vino, sale, pepe e prezzemolo. Dopo il tutto ripassato in padella con del buon olio extravergine di oliva.
Ma non è la Pasqua marchigiana se sulla tavola non c’è la pizza di formaggio o crescia brusca. I nomi variano a seconda delle provincie in cui ci troviamo ed anche la ricetta ha qualche variante, dalla forma al tipo di formaggio utilizzato (sempre rigorosamente locale), se grattuggiato o a pezzi, con pepe o senza… Innanzi tutto perché “brusca”? In dialetto vuol dire “non dolce” per differenziarla dalla versione “dolce” con la stessa forma ma preparata con zucchero e canditi (ma questa è un’altra storia). Piccole differenze a parte, la sostanza è sempre la stessa: una esplosione di gusto e profumo di un “panettone” al formaggio ideato tra le mura di un monastero dalle pazienti mani delle monache. Io invece mi sono affidata alle mani esperte di Giuditta Mercurio e Agnese Podgornik dell’ Azienda agricola Gentil Verde di Acqualagna per scoprire una versione locale. Una crescia preparata con la farina di grano 1 (rigorosamente coltivato da loro), e la pasta madre, usando olio extravergine di oliva, pecorino e parmigiano grattuggiati e dando una nota agrumata con una spolverata di limone. Ah dimenticavo: rigorosamente cotta a legna come tradizione vuole.
Antiche ricette, ingredienti semplici, genuini che abbiamo la fortuna di poter trovare nelle aziende agricole e negli agriturismi che ancora credono nella tradizione e nella qualità dei prodotti che mettiamo sulle nostre tavole. Perché mangiare deve essere sempre un compromesso tra “piacere e salute”. Buona Pasqua!